Louie è la seconda serie tv scritta e diretta dal comico Louis CK e che lo ha consacrato definitivamente anche come regista di successo.
Ognuno di noi dovrebbe essere al centro della propria vita senza badare alla sua presente o mancata predestinazione nell’essere spettatore o attore.
Intendo, possiamo guardare quanto vogliamo un ottimo ballerino, una cantante virtuosa o un pornostar super-dotato con ammirazione ed essere consapevoli che non rientriamo in quei ranghi, ma nessuno di noi può, volente o nolente, essere spettatore delle proprie azioni. Può solo esserne protagonista e come tale, storicamente, possedere dei lati chiari, vicini a chi si relaziona con noi, e dei lati più torbidi, nemici del lettore/astante più docile e golosi per quello più intrigato.
Louie
L’idea del buon vecchio Louis CK si chiama “Louie”, porta all’estremo l’assurdità dell’esistenza o meglio, la mette in risalto come mai accadrebbe nella realtà, e ci regala un concentrato di tragicomicità rivoluzionario. Non aspettatevi nulla di tutto quello che fino ad adesso avete reputato “comico”: Louis CK penetra la sua vita interpretando un comico divorziato con due bambine da crescere evitando e cercando la risata allo stesso tempo. Intervalla quelli che il presidente di FX John Landgraf chiama “sketch estesi” con delle esibizioni dal vivo del suo alter ego. Tutto molto innovativo e frizzante, nonostante la critica non gli riconosca quel ritmo serrato che hanno nelle battute le tradizionali sit-com.
Louie spesso è un cinico bastardo proprio come noi, è un Mr. Bean che non cade dal cielo scaricato da un astronave (non so se qualcuno di voi ricorda la sigla della famosa serie), ha le radici ben piantante nelle contraddizioni della società occidentale e nei piccoli drammi quotidiani. Questi ultimi sono il teatro delle manifestazioni più becere dell’aspetto pestifero del personaggio: lui utilizza mezzi bassi per raggiungere scopi bassi. Proprio come noi.
Poche righe fa vi ho accennato l’idea di fondo dell’intera serie, perché solo di quella si può parlare: “Louie” non ha una trama vera e propria, pochi episodi sono legati tra loro, quasi tutti gli altri potrebbero reggersi indipendentemente l’uno dall’altro grazie alla profondità mozzafiato che il comico di origini ebraiche riesce a donare alle sue idee.
C’è un’altra linea: l’imbarazzo.
CK ha la capacità di creare situazioni in cui non vorremo mai trovarci. Realizza una vivida trasposizione cinematografica di quello che potrebbe essere un monologo di uno stand-up comedian.
Il condimento finale è quel jazz, in bilico tra tradizionale e sperimentale, piazzato al momento giusto tra malinconia e profonda riflessione. Neanche questo rientra nei nostri ranghi, ma guardate questa serie.